10 mar 2010

Philip Wiegard in Domus, IN ABSENTIA written by Xavier Laboulbenne March issue, p. 78

L’impressione è quella di trovarsi in un film di Fassbinder, con centinaia di personaggi barbuti, ma tutti diversi l’uno dall’altro che si muovono in un bar chiassoso chiamato Moebel Olfe, nel quartiere berlinese di Kreuzberg, zeppo di fumo, alcol e musica psichedelica. Sopra questa distesa di teste, un gruppo di poltrone (moebel) sembra essere pronto per accogliere corpi raggomitolati. In realtà rimangono inaccessibili. Sembrano sul punto di cadere addosso agli avventori del bar da un momento all’altro, pur essendo di fatto solidamente ancorate a una parete di cemento grezzo. Che si tratti di un’illusione ottica? Di uno stato psicoattivo? Niente di tutto questo: siamo di fronte a una scultura di Philip Wiegard.

Il lavoro di Wiegard si inserisce alla perfezione nel ritmo della scena artistica berlinese, che si può misurare attraverso lunghe pause di solitudine creativa, interrotte da intensi momenti di interazione sociale in spazi collettivi che ospitano eventi sempre produttivi e spesso accompagnati da suoni ed esperimenti psicotropi. Questi ‘reami’ discordanti tra loro eppure strettamente collegati l’uno all’altro mettono in atto uno scarto percettivo lucido e allucinato insieme. Le installazioni scultoree di Philip Wiegard riescono a cristallizzare questi momenti unici che riassumono la Zeitgeist della metropoli tedesca dell’inizio di questo secolo. Come suggeriva Gilles Deleuze, gli artisti creano ‘percetti’ – insiemi di percezioni e sensazioni che sopravvivono a chi li sperimenta – e così facendo conferiscono un’aura di eternità alle esperienze effimere, o perlomeno le inframezzano con una pausa.

Nato in una famiglia di accademici, Philip Wiegard si è formato alla Universität der Künste di Berlino, per poi completare gli studi all’Hunter College di New York. I suoi primi lavori riprendono spesso gli elementi ornamentali della tradizione popolare tedesca, sono intrisi di eredità Bauhaus e funzionalità collettivistica. Bambies, multipli di schiuma poliuretanica di un elemento decorativo a rilievo, non sfigurerebbe sulla trave di uno chalet bavarese, mentre in Kulissen mobili e spazio si fondono dando vita a una collisione architettonica per una serie di fotografie realizzate con una macchina fotografica costruita a mano dallo stesso artista. In Raum 84°, una parete doppia realizzata con cornici di finestre recuperate diventa un campo giochi perfettamente funzionante.

I riferimenti culturali di Wiegard si ampliano con il soggiorno di un anno a Parigi: la sua predilezione per le arti decorative assorbe il Grand Siècle attraverso una serie di distorsioni di oggetti settecenteschi. La sedia, motivo ricorrente nell’opera di Wiegard, è un elemento che gli consente di evocare la morfologia umana ma che serve anche da metafora della sua ssenza. Quindi Sèance, una composizione sospesa di tavoli e sedie imbottite, allude alla ricerca di una spiritualità alternativa alla vigilia di un evento secolare come la Rivoluzione francese, ma forse è anche l’elemento culminante della rivalutazione del materialismo capitalista.

In un’epoca in cui spesso l’arte viene fabbricata da aziende specializzate nella produzione dei ‘concetti’ di un crescente numero di artisti - prassi che porta verso l’omogeneizzazione formale – spicca ancora di più il grande talento artigianale di Philip Wiegard, la sua naturale maestria nel processo di sperimentazione e resa materiale. La sua recente collaborazione con gli stilisti londonesi Meadham Kirchhoff rappresenta sotto questo profilo solo una parziale eccezione, dato che le gigantesche nuvole da fumetto realizzate in gommapiuma dipinta per la presentazione della loro collezione primavera-estate sono state realizzate riproducendo modelli in creta manufatti dallo scultore tedesco.

Affondano le proprie radici nell’appartenenza a Berlino e alla sua condizione di città sempre più cosmopolita le continue citazioni eurocentriche che si trovano nel lavoro di Wiegard. Nelle opere in mostra il prossimo aprile a Roma, alla galleria Furini, si snetono moltissimo le “affinità elettive” di Wiegard con Giorgio De Chirico, non solo con l’artista ma anche con l’uomo e le sue contraddizioni. Affinità che si possono cogliere con una visita all’abitazione di piazza di Spagna dove il maestro surrealista visse fino alla sua morte, avvenuta nel 1978: una sintesi perfetta della sua particolare amalgama di spazio metafisico e decoro borghese.

Al pari del celebre artista greco immigrato in Italia, in questa mostra Philip Wiegard presenta un’arcadia popolata da figure ritratte in pose plastiche, un richiamo ai mondi utopici tanto anelati da Wilhelm von Gloeden, patriota tedesco di dubbia reputazione. La messinscena del barone nordico, ambientata in un mondo ideale precedente alla caduta, rivelava probabilmente tanto sul suo autore e sui suoi meccanismi del desiderio in una società puritana proto-industriale quanto lo faceva la nudità dei suoi modelli siciliani. Per dirla con Henry James: “Senza un contesto, un figura non è niente”. XAVIER LABOULBENNE