NEMANJA CVIJANOVIĆ, Kronos devouring one of his children, 2012 |
In questo progetto il collezionista produce e acquista
l’opera d’arte costituita dal suono della sua voce che
dice: “This is private property!”. Kronos devouring
one of his children è un raffinato tentativo di
decostruire i principi del mercato dell’arte oltre a
miticizzarlo. In una ulteriore lettura, esprime un
commento ironico sul processo della privatizzazione
in generale. Il progetto, specificamente realizzato per
la partecipazione ad Artissima, consiste in tre
altoparlanti e una piccola sala di registrazione
contenente un microfono. Ogni altoparlante
riproduce il suono “This is private property!” con la
voce di tre importanti collezionisti internazionali.
Durante il tempo della fiera, a possibili acquirenti
dell’opera sarà data la possibilità di acquistare
(registrare e produrre) e mostrare immediatamente in
fiera il nuovo acquisto, dato che per ogni vendita un
nuovo altoparlante con la nuova voce sarà aggiunto
agli altri nello stand. Qui il paradosso della fiera: in
pratica cambia la sua identità da luogo dove esporre
e vendere a luogo dove produrre. Allo stesso tempo,
quando il collezionista porta via il suo pezzo si
unisce all’opera che “mangia” la nuova voce, come
suggerito dal mito di Crono.
This a project in which the collector produces and
buys the artwork made by the sound of his own
voice saying: “This is private property!”. Kronos
devouring one of his children is a refined attempt to
deconstruct the art market’s principles otherwise to
mythicize it. In a further reading, it demonstrates an
ironic comment on the process of the privatization of
the world in general. The project, specifically made
for the participation at Artissima, consists in
three loudspeakers and a small room as recording
studio containing a microphone. Each loudspeaker
reproduces the sound “This is private property!”
with the voice of three important international
collectors. During the time of the fair, possible
buyers of the piece are provided with the possibility
to buy (to record and produce) and to show
immediately in the fair the new purchase, since for
every sale a new loudspeaker with the new voice
will be added to the others in the booth. Here’s the
paradox of the fair: in actuality it changes its identity
over from a place where to show and sell to a place
where to produce. At the same time when the
collector takes away his piece he joins the artwork
which “eats” the new voice, as suggested by the
myth of Kronos.
EDWARD THOMASSON, Inside, 2012, film, 13:30 mins
La narrazione riunisce tre scenari che riflettono
l’idea del rapporto fra spazi interni ed esterni e la
conseguenza della rottura del confine fra i due.
Inside è una miscela straordinaria eppure
straordinariamente plausibile di diverse scene
presentate in uno stile connesso alla grammatica
del dramma televisivo britannico. Spostandosi
fra un carcere e un dramma domestico, e ancora
a filmati di un agopuntore che applica aghi nella
schiena di un paziente, le scene contrastanti di
Inside sono intrecciate attraverso due fili
narrativi centrali, uno che mette a fuoco una
detenuta, l’altro una coppia che canta insieme
mentre l’uomo suona la chitarra.
Inside è stato prodotto durante la residenza di sei
mesi che Edward Thomasson ha svolto alla
South London Gallery di Londra (2012) e si è
sviluppato su una serie di laboratori che hanno
permesso a Thomasson di esplorare a fondo
l’uso della performance, come è tipico della sua
strategia, e implementare la narrazione con
elementi di disturbo, musiche e canzoni
composte e arrangiate appositamente per lo
svolgimento dell’intreccio.
The narrative brings together three scenarios that
reflect ideas around the relationship between
interior and exterior spaces, and the
consequences of breaking through boundaries
between the two.
Inside is an extraordinary yet strangely plausible
concoction of disparate scenes which are
presented in a style which refers to the grammar
of British television drama. Shifting between
prison and domestic drama, as well as footage of
an acupuncturist applying needles to a patient’s
back, the contrasting scenes in Inside are woven
together through two central narrative threads,
one focusing on a prisoner, the other on a couple
who sing together as a man plays a guitar.
Inside was produced during the Edward
Thomasson’s six month residency at the South
London Gallery in London (2012) and developed
on a workshops serie which allows Thomasson
to explore deeply the performance use, as it is
typical of his strategy, and to enforce the
narrative with disturbing elements, musics and
songs composed and arranged expressly for the
plot unwinding.
MARLON DE AZAMBUJA, Gran Fachada, permanent black
felt-tip pen on color photo, nine pieces 40x50 cm each, 2012
L’artista brasiliano Marlon de Azambuja continua a
lavorare sull’architettura come primo elemento di
analisi critica nella sua produzione. Oltre ai disegni
Nuevos Barrios, alla serie di “gabbie” che
riproducono la struttura di musei d’arte
internazionali simbolo della cultura istituzionale
come Tate Modern e New Museum e altri pezzi, i
lavori inclusi in Gran Fachade sono foto di
facciate di riconoscibili musei internazionali, qui il
MOMA, che Marlon de Azambuja trasforma in
disegni per mezzo di un pennarello indelebile nero,
con lo scopo di evidenziare certi elementi e
coprirne altri. Il risultato è una visione alternativa
dello scenario, che cristallizza l’interpretazione di
de Azambuja: determinate forme, la sagoma della
gente che passeggia, i contorni del contesto. Quello
che emerge è una nuova prospettiva che tenta di
rivelare l’essenza della struttura e l’impronta che
ne rimane nell’ambiente urbano e nel paesaggio
culturale.
Brazilian artist Marlon de Azambuja keeps
working with the architecture as first element of
critical analysis in his production. Over than the
drawings Nuevos Barrios, the “cage” series
reproducing international art museums’ structure
symbol of the institutional culture as the Tate
Modern and the New Museum and other art pieces,
the works included in Gran Fachade are photos of
recognizable international museums’ facades, here
the MOMA, that Marlon de Azambuja turns in
drawings using a black felt-tip pen, with the aim to
highlight some elements and to cover some others.
The outcome is an alternative vision of the
scenario, which crystallizes the Marlon de
Azambuja’s reading: determined forms, the
walking people’s silhouette, the setting outlines.
What emerges is a new perspective which attempts
to reveal the essence of the structure and the
imprint which remains on the urban environment
and on the cultural landscape.
NEMANJA CVIJANOVIC, The Sweetest Dream, 300x150 cm, 2005