4 gen 2010

Studio visit: Andrea Bianconi di Amalia Piccinini (IT)

Oggi ho lo studio visit con l’artista italiano Andrea Bianconi, trasferitosi a New York da un anno e mezzo. Arrivata al suo indirizzo di Williamsburg a Brooklyn, mi accorgo che il suo studio è in realtà la sua abitazione, o meglio l’abitazione di qualcun altro.

Mi spiega infatti: “Il mio studio è una parte importante del lavoro, cerco di cambiare spesso studio, questo per affrontare e convivere con l’inaspettato. Cerco sempre lo spazio in base alle esigenze di un’idea, ma voglio sempre la casa degli altri. Chiedo ai proprietari di lasciarmela con tutte le loro cose, con i libri, con i loro ricordi, con le loro chiavi…Quella di ade
sso è una casa col giardino. Non ho mai avuto un giardino, forse a causa del mio rapporto conflittuale con la natura, non mi piace la natura. La prima cosa che
ho fatto è stata riempire il giardino di sedie. Ora lo sto affrontando…
Mi piace mischiare i miei libri con i loro libri, le mie chiavi con le loro, i miei ricordi con i loro ricordi. Vivo di situazioni che gli altri hanno creato, fotografo e analizzo tutti gli oggetti, tutto di tutto”.
Durante questa spiegazione, Bianconi mi mostra il giardino e le numerose chiavi appese al muro, poi ci sediamo sul divano e continuiamo il nostro studio visit circondati da oggetti misteriosi: cappelli, modellini, pupazzi e libri dei padroni di casa. Alle pareti è appesa una serie di disegni in bianco e nero che hanno per tema le corde annodate.
Amalia Piccinini: Come mai la corda e il nodo?
Andrea Bianconi: Le corde annodate sono lavori legati all’esistenza, sono corpi in una situazione di costruzione e decostruzione. Ho trovato l’immagine della corda nel manuale di sopravvivenza dell’esercito americano. Mi interessa molto la sua forma intesa come mistero del corpo, in una rappresentazione concentrica di vita e morte. Ho disegnato usando più penne dello stesso tipo, ma con quantità diversa d’inchiostro. In alcune di esse l’inchiostro si stava scaricando, quasi come se le penne stessero morendo.
Lentamente nasce un lungo discorso sull’esistenza. Oltre ai disegni, Bianconi mi mostra alcune foto tratte da una sua recente performance, rimango particolarmente colpita da quella con la gabbia in testa.Con una pacatezza disarmante, mi spiega che ogni giorno, ogni momento, i suoi pensieri sono troppi, non li contiene. Allora ha pensato di tenerli imprigionati dentro una gabbia per non farli uscire.
AB: Al centro del mio lavoro c’è l’individuo, io personalmente ho voglia di scappare da me stesso, ora sono a New York, ma forse vorrei scappare in un altro posto, e poi in un altro posto ancora...
Oppure quando sono solo, scappo verso la gente, ma quando sono in mezzo alla gente non vorrei più essere lì.
A un certo punto pronuncia una frase molto interessante: “io mi paralizzo”.
Mi viene in mente Kafka, lui invece menziona Joyce.
AB: Nell’Ulisse di Joyce viene eliminata ogni barriera fra la percezione reale delle cose e la rielaborazione mentale. Mi interessa la paralisi morale e di conseguenza la fuga dopo che abbiamo compreso la nostra condizione. Dunque isolamento e illusione perché la fuga è destinata a fallire sempre. Non si può fuggire dalla realtà.
Sono affascinato da coloro che decidono di raggiungere la cima dell’Everest. Gli alpinisti fuggono per andare sulla vetta più alta del mondo, rischiano, fanno fatica, in alcuni casi perdono la vita.
Che senso ha raggiungere una realtà apparente?
Alla fine devono scendere e tornare indietro.La Fantasy Ridge è la via dell’Everest così chiamata dagli alpinisti perché impossibile da praticare fisicamente. È un’idea, si percorre solo con l’immaginazione.
AP: Davanti al mare come ti poni?
AB: Mi fa paura, per affrontarlo ci devono essere le barche, come per il giardino ci devono essere le sedie.
AP: Se non ci sono le barche non entri in acqua?
AB: No, non entro.
AP: Stai lavorando con la galleria Barbara Davis di Houston. Che idea ti sei fatto delle gallerie di New York?
AB: New York è una galleria, è uno stato d’animo. Le gallerie nella galleria sono contenuti di un contenitore e il contenitore di contenuti.
AP: Ma sull’Everest ci saliresti?
AB: No.
AP: Grazie per avermi invitata e complimenti per il tuo lavoro. In bocca al lupo per la prossima mostra a Praga.
AB: Crepi. Ora mi incammino ed esco in giardino.
Mentre cammino verso la metropolitana ho il dubbio che invece, con il manuale di sopravvivenza, forse Bianconi salirebbe sulla cima dell’Everest.